venerdì 1 aprile
Firenze centro
ore 22:15 circa
Io e l’amico Bercio varchiamo la soglia di un noto locale della zona, di cui siamo clienti abituali, con un ghigno satanico dipinto in volto. Dietro il banco ci attende il barman Cecco, al suo ultimo weekend di lavoro, che ci accoglie con un espressione carica di altrettanto luciferina soddisfazione.
Il locale si sta riempiendo, come consueto, oltre ai soliti habitué, della classica quota di turisti e studenti stranieri, in prevalenza americani e inglesi. In fondo, sul piccolo palco allestito per la musica live, D.M. sta barbonamente approntando ciarpame per il suo classico unplugged gradevole quanto un chiodo rugginoso piantato nel glande.
D.M., ove D. sta per un nome angloamericano e M. per un cognome italoterrone, è un obeso lercione del Massachussets in infradito che vive da diversi anni a Firenze, sbarcando il lunario con pezzenti unplugged di cover, in attesa di diventare una star.
Il grasso ominide, riunendo in sé la dabbenaggine americana e la cazzimma terronide, è uso tentare costantemente di fottere il prossimo ma, essendo stupido come un tacchino down, finisce regolarmente col far scoprire i propri malaffari.
Per carità , non si parla di roba grave e delinquenziale, ma di atti meschini e miserabili tipo la maldicenza volta a rovinarti la piazza con qualche donna o rubarti la birra dando la colpa a qualcun altro. Il tutto corredato da un’eccessiva e ostentata cordialità , con sorrisi, strette di mano, abbracci, pacche sulle spalle e un grande spreco di bro.
Fu così che questo soggetto da schiaffi sul cazzo, ottenne il prevedibile risultato di restare sulle palle un po’ a tutti quanti abbiano avuto modo di conoscerlo, compreso lo staff dei locali, i clienti, i negri che vendono carabattole per strada, i bangla con le rose e, ovviamente, noi due.
Anzi, noi tre.
Facciamo due saluti, reclamiamo il nostro posto al banco, ordiniamo due birre e, con lesto movimento da spacciatore magrebino, deponiamo un pacchetto nelle mani del trepidante Cecco. Leggi tutto »